Gli ultimi tre giorni, passati a Dakar a conclusione dell’esperienza, ci lasciano il tempo di riflettere e ordinare i pensieri su quello che abbiamo appena vissuto.
Nonostante i numerosi imprevisti (senza i quali, a conti fatti, il viaggio non sarebbe stato lo stesso), il risultato è da considerarsi confortante: i contatti con le autorità locali sono stati stabiliti, instaurando un rapporto di rispetto e fiducia nel progetto; l’entusiasmo è rimasto costante da entrambe le parti, sia durante i nostri meeting e riunioni che altrimenti sarebbero state davvero interminabili, sia durante la nostra permanenza a Meckhè; l’accettazione della nostra presenza in quello che può essere definito un territorio “isolato” (sono ben pochi i segni di presenza occidentale, salvo l’imperante architettura coloniale), non possono che renderci felici.
Torniamo a casa con una nuova coscienza di ciò che stiamo facendo, e ci avviciniamo sempre di più a comprendere le reali dimensioni che sta assumendo questa avventura, rimanendo però costretti a mantenere i piedi saldi a terra: c’è ancora molta strada da fare per raggiungere l’obiettivo, e d’ora in avanti possiamo permetterci ancor meno di prima il lusso di ripararci dietro il muro della mancanza di materiale su cui lavorare.
Al nostro arrivo in Africa quelli che potevano essere considerati come pregiudizi o presunzioni di superiorità si sono subito dissipati, per cedere il passo a una spesso tacita accettazione dei fatti e della cultura da cui siamo stati letteralmente travolti, perché gran parte di quello che abbiamo imparato non si può trovare scritto in nessuna guida turistica o trattato riguardante il mondo in cui ci siamo lanciati. Anche scrivere queste parole fa sorridere, perché alla base di tutto permane la garanzia che un’esperienza di tale portata, se non viene vissuta in prima persona con tutto ciò che ne consegue, non può neanche lontanamente essere raccontata a parole o immagini. Abbiamo passato le vacanze lontano da casa, dalle comodità, dagli affetti a cui siamo tanto abituati, eppure la sensazione è quella di aver ricevuto molto più di quanto potesse darci l’ennesimo periodo di relax passato in Italia. I sorrisi dei bambini, la disponibilità e la collaborazione offertaci da chiunque si trovasse sul nostro cammino hanno egregiamente sostituito i pranzi e i regali a cui abbiamo rinunciato. È incredibile come l’allegria sia inversamente proporzionale agli averi di una persona: meno si possiede, più si è disposti a dare, meno si vuole, più si è felici, e la spensieratezza di tutti i soggetti che abbiamo incontrato hanno ribadito il concetto ogni minuto della nostra permanenza.
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